Ambiente, Attualità

Vendemmia, cambiamenti climatici, vini perfetti, difetti e lieviti

Ne fa sintesi l’enologa e biologa DORA MARCHI

Gelate, scarsità di pioggia e clima secco: in qualche caso si è verificato il blocco della fotosintesi”
“Il vino perfetto è quello che non si fa dimenticare”

Come sta andando la campagna vendemmiale dei rossi? Il cambiamento climatico come impatterà nel calice? Quando, un vino può dirsi perfetto? Difetti e lieviti…

Ne abbiamo parlato con Dora Marchi, enologa e biologa di alta e lunga esperienza, Direttore Tecnico e Responsabile del Laboratorio Controllo Qualità nel Laboratorio di Ricerca Applicata Enosis Meraviglia di Fubine (accanto all’enologo per eccellenza Donato Lanati), nonché membro della Commissione Tecnologia Enologica dell’OIV (Organizzazione Internazionale del Vino e della Vigna),  di ONAV (membro onorario), della Confraternita I Moschettieri dell’Armagnac e dell’Ordine Confrèrie des Chevaliers du Tastevin – Clos Vougeot.

Diversità di territori, clima e vitigni è quanto di più bello rende speciale il nostro Paese. Differenze che, tuttavia, in vendemmia si amplificano. Abbiamo cominciato con una primavera piovosa e poco calda; poi, c’è stata la gelata di inizio aprile che ha colpito in maniera importante il centro Italia (in alcune zone della Toscana riduzione della produzione di oltre il 50%) e, nel mese di luglio, le temperature hanno cominciato ad alzarsi raggiungendo, nel centro-sud, i 40 gradi per quasi due mesi, mentre l’assenza di pioggia si è fatta sentire sull’intera penisola. Ne sono conseguite uve disidratate e, in qualche caso, si è verificato il blocco della fotosintesi.  Complessivamente, è stata un’annata calda e siccitosa, con uve rosse che, in determinate posizioni e in certi periodi, hanno raggiunto temperature impressionanti all’interno degli acini maggiormente esposti (fino a 50°). Sarà difficile decidere la data di raccolta in base alla maturità fenolica; il cambiamento climatico sta alterando tempi ed equilibri. Sempre più, assistiamo all’anticipo della maturità aromatica; a seguire, viene quella tecnologica e per ultima, ma non sempre, giunge la maturità fenolica. Aspettare la maturità fenolica vorrebbe dire raccogliere uve con un accumulo zuccherino molto elevato e con pH molto alti. Anticipare, invece, significherebbe fare i conti con tannini non maturi, e magari con un’estraibilità degli antociani ancora bassa. Non mancano, tuttavia, le eccezioni: nell’Alto Adige, per esempio, il clima è stato fresco e piovoso durante l’estate e, pertanto, la vendemmia è in ritardo rispetto alle ultime annate: ora, il bel tempo e le escursioni termiche sono decisive per le uve rosse precoci, come il Pinot nero; per queste, l’annata sarà sicuramente buona”.

I cambiamenti climatici come impatteranno nel calice? Andremo incontro a vini amari, astringenti e secchi?

“Non possiamo e non vogliamo questo. La ricerca che stiamo portando avanti da alcuni anni in Enosis, in particolar modo quella riferita agli studi sulla quercetina, che possiamo considerare come la punta di un iceberg e che per prima ci ha messo in guardia sui cambiamenti climatici, ci permetterà di scrivere una nuova pagina dell’enologia. Gli schemi di vinificazione dovranno per forza cambiare, come cambieranno i parametri per la scelta dell’epoca vendemmiale. 

Bisognerà anche rivedere alcune pratiche, come la sfogliatura, particolarmente utilizzata, negli ultimi anni, soprattutto da chi produce in regime biologico. Con questo clima siccitoso e con l’aumento delle temperature, la sfogliatura, praticata anche per aumentare la sintesi degli antociani e dei polifenoli, provoca più danni che benefici.  

L’esposizione del grappolo alla luce diretta del sole provoca l’aumento di certe sostanze quali, tra gli altri, i flavonoli di cui fa parte la quercetina, che la vite produce per difendersi dai raggi ultravioletti. Le temperature eccessive provocano anche la degradazione degli antociani, oltre a danni diretti come le scottature; inoltre, le uve esposte alla luce diretta, e prive di ombreggiamento, raggiungono temperature interne molto più elevate di quelle dei grappoli ombreggiati”.

Quando possiamo definire un vino “perfetto?

“Letteralmente, quando un vino è privo di difetti si potrebbe definire “perfetto”. Tuttavia, questo non è sufficiente affinché esperti, critici e consumatori riconoscano un vino come “grande vino”.    Paradossalmente, un vino giudicato “troppo perfetto”, talvolta, viene percepito come privo di personalità.

Sebbene il giudizio di un vino sia, spesso, soggettivo e dipenda dal background professionale, culturale e umano di chi lo assaggia, la prima regola è l’equilibrio: ciò che si sente al naso deve essere riconfermato dal gusto, attraverso lo spessore, la struttura, la lunghezza, la persistenza e l’eleganza. A livello olfattivo, le soglie non sono univoche: la percezione di profumi e difetti è personale e, pertanto, può risultare diversa a seconda della persona. Il senso del gusto, invece, è maggiormente oggettivo e la valutazione di struttura, lunghezza e spessore risulta più simile tra i degustatori.

A livello tecnico, la prima qualità di un vino è il colore. Più precisamente, è la luminosità la caratteristica che muove le nostre scelte, mentre i colori cupi, sovente, ci inducono a percepire note olfattive negative (di ossidazione, di vecchio e di mancanza di freschezza).

Il profumo deve essere fresco, avvolgente, invitante e sorprendente. Attraverso il profumo dobbiamo poter cogliere varietà, territorio ed emozionalità dell’annata.

Il gusto, poi, deve riconfermare il profumo, attraverso lo spessore, la struttura, la lunghezza, la persistenza e l’eleganza

Ho avuto la fortuna di bere vini di oltre 30/40 anni e di percepirli giovani e freschi. Vini che, malgrado la loro longevità, continuano a modificarsi nel calice, riservando curiosità e invogliando ad assaporarli.

Vini che ricorderò per sempre per la piacevole sensazione fisica trasmessa e, con loro, il luogo, il momento, le atmosfere e le persone con le quali li ho bevuti.

Questi sono i vini perfetti: quelli che creano emozione e curiosità, quelli che non si dimenticano e che diventeranno icona nell’immaginario”.

Quali, invece, i difetti più inaccettabili?

“Due sono i difetti che considero imperdonabili: secchezza-asciuttezza in bocca e l’amaro. Desiderare di bere un bicchiere d’acqua dopo un calice di vino non è certamente una buona cosa. Purtroppo, può capitare di assaggiare vini privi di difetti olfattivi ma che, poi, al gusto, o sul finale, rilevano quella secchezza che non invoglia a berne ancora. Alle volte, questo difetto si riscontra anche nei vini blasonati ma, pur in presenza di sensazioni molto simili, le cause possono essere diverse. Infatti, può dipendere da una mancanza di maturità fenolica delle uve, da un eccesso di tannini e/o da tannini non ben polimerizzati. Inoltre, può altresì dipendere da acidità volatili elevate e non percepibili all’olfatto, o essere imputabile a un eccesso di ossigeno nelle fasi finali di affinamento e/o di imbottigliamento. Tra le cause di queste sensazioni negative, infine, ritroviamo anche i cambiamenti climatici. Uve stressate e disidratate, spesso, non hanno un corredo polifenolico al giusto livello di maturità e presentano tannini secchi e asciutti.

Altro difetto, non di minor considerazione, è l’amaro. Le cause, anche in questo caso, possono derivare da fattori diversi. Nei vini rossi, la sensazione di amaro è sovente riconducibile alla quantità e allo stato di polimerizzazione/maturazione dei composti polifenolici. Nei vini bianchi, invece, può essere dovuta dalla presenza di catechine e non solo. Nell’uomo ci sono 25 distinti recettori dell’amaro, per la maggior parte localizzati sulla superficie delle cellule delle papille gustative (nda nei millenni, la capacità di riconoscere l’amaro ha preservato l’uomo dall’ingestione di cibi e/o bevande contenenti principi velenosi)”.

Come prevenire?

“Per evitare problemi di secchezza, di amaro e di astringenza, è importante, anche a livello fenolico, raccogliere uve mature. La durata e le modalità di vinificazione-affinamento, invece, vanno annoverate nella strategia. In ultimo, ma non per questo meno importante, in tutte le fasi di lavorazione e affinamento dei vini occorre prestare molta attenzione al corretto rapporto con l’ossigeno.

Sull’eliminazione e/o il camuffamento/mitigazione di tali difetti, nulla possono le chiarifiche, le sostanze proteiche (gelatine, albumine, ecc.) sia di origine animale sia vegetale e, neppure, l’aggiunta di dolce o di altre sostanze. La filosofia di lavoro Enosis bandisce, in forma categorica, la fase di chiarifica con sostanze proteiche”.

Qual è il suo giudizio sui vini “brettati” (genere di lieviti appartenente alla famiglia delle Pichiaceae)?

“Per me, sono da pollice verso. Il Brettanomyces è un lievito inquinante che, attraverso i suoi enzimi, trasforma gli acidi idrossicinnamici in vinilfenoli che, a loro volta, vengono trasformati in etilfenoli.

Il 4-etil-fenolo ha odore di sudore di cavallo e il 4-etil-guaiacolo di farmaceutico e di cerotto.

Entrambi, hanno soglie olfattive diverse: il 4-etil-guaiacolo ha una soglia molto bassa, ma occorre tener presente che la soglia olfattiva dipende, prevalentemente, dalla complessità del vino e dalle nostre sensibilità individuali. Ci sono, poi, grandi vini con livelli elevati di etilfenoli, ma che rimangono integri e privi di odori sgradevoli, come ad esempio i grandi Barolo o Bordeaux; altri, invece, vengono deturpati dalla presenza di queste sostanze.  Inoltre, la presenza di questi odori anomali, spesso, nasconde e adombra i profumi fruttati, impedendo al vino di esprimere le sue caratteristiche più intrinseche. Da sapere, infine, che il Brettanomyces metabolizza anche piccole quantità di zucchero e produce acidità volatile.

Il vino deve sempre dare sensazioni positive sia all’olfatto sia al gusto, biologico, biodinamico e “naturale” che sia”.

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